Lettere dal Passato
Qualche riflessione
[…] In più
passaggi mi sono premurato di precisare che non vi era nulla di eccezionale nei
nostri comportamenti. Se vi è qualche cosa di rilevabile, ciò era conseguenza
delle varie circostanze nelle quali ci si è trovati a vivere. E una premessa
necessaria per sviluppare altri pensieri conclusivi che possono essere di una
qualche utilità. Già nel momento della fondazione dell'Associazione mi è parso
giusto ricordare la partecipazione di noi ragazzi, insieme a don Giuseppe,
nella scelta dei capi. Lo stesso metodo venne usato nella individuazione dei
capi e vice capi squadriglia. Non ricordo bene come si esplicavano le modalità
della scelta. Per analogia, prescindendo da primogeniture, mi ricordo benissimo
che la scelta del Presidente dell'Azione Cattolica, gruppo giovani, avveniva
per elezione diretta, nonostante lo Statuto prevedesse che la nomina a
presidente era di competenza del Vescovo su designazione del Parroco. II
ricordo è preciso perché sperimentato personalmente. Contro la volontà del
parroco fui votato presidente dei giovani di A.C.; Mons. Vezzola non respinse
la nomina e segui la procedura di propormi al Vescovo, che la convalidò. Debbo
ricordare che nel 1948 vi era stato uno scontro assai vivace con il parroco,
conseguente al trasferimento di don Canini, Assistente Ecclesiastico dei
giovani di A.C. Anch'io fui tra coloro che contestavano, probabilmente da
posizione radicale, visto che mi trovai un invito scritto da Mons. Vezzola che
esigeva la palese scusa da manifestare nell'occasione del perdono d'Assisi.
E così fu.
Mons.
Vezzola all'atto dell'accettazione della mia elezione a Presidente mi convocò
nel suo studio e con un abbraccio mi raccomandò di compiere i doveri che competevano
al Presidente aggiungendo che, come Gesù aveva perdonato Pietro, così il
parroco perdonava l’esuberante mio comportamento. La digressione consente di
rilevare come il metodo democratico fosse vigente ed il sistema delle elezioni
dirette caratterizzasse la scelta dei responsabili delle associazioni di
ispirazione cattolica. Ritengo doveroso aggiungere che la democrazia era
esigita ed in un certo modo partecipata, anche perché di recentissima
sperimentazione, dopo il lungo periodo della sua soppressione e data la
estensione dei diritti rispetto a prima nel 1922. La partecipazione dei soci e
la scelta democratica dei dirigenti garantiva la vita delle associazioni per
conseguire le finalità statutarie. Ma non solo quelle. Le associazioni
cattoliche, e quindi anche gli scout, avevano relazioni con l'esterno. La buona
azione quotidiana quale precetto distintivo per ogni esploratore rappresentava
l'esplicitazione di uno dei principi fondanti Il "SERVIRE".
Il rapporto con la comunità locale era pertanto
imprescindibile. Ecco come già fino da allora si intese anche l'impegno
politico di derivazione sociale che si poteva esplicare localmente nelle
diverse articolazioni sociali e nella amministrazione comunale. Già è stata
ricordata la presenza del tutto istintiva nella competizione referendaria del
1946 e quella più consapevole e organizzata delle elezioni politiche del 1948.
La formazione intorno ai temi dibattuti occupava uno spazio appropriato. Ci
saranno altre occasioni per soffermarsi su questi tipi di eventi. Mi basta solo
ricordare che già nel 1951. nella maggior età da pochi giorni, sono eletto
consigliere comunale. Mi è facile sostenere, senza entrare in dimostrazioni,
che molte persone vobarnesi che si sono succedute in posti di responsabilità
nelle istituzioni pubbliche, locali, compresa quella sindacale, hanno alle loro
spalle l'esperienza scoutistica. AI di là delle apparenze che li hanno espresse
quale contrassegno della libertà dell'associazione. Un altro dato, non
secondario, del tempo era la partecipazione a più di una associazione da parte dei
giovani. Di certo non imperava il connotato della specializzazione e la
tirannide del tempo da riservare a numerose esigenze come le odierne. Lo stesso
studio era vissuto con gli assilli, le ansie moderne, unite anche alle
difficoltà logistiche ed economiche di allora, senza tuttavia che ci
soverchiasse e soprattutto evitando eccessive preoccupazioni ai genitori, i
quali, per la verità, non riuscivano forse a coglierne i molteplici risvolti.
La partecipazione a più associazioni unita a dei servizi esterni per la
parrocchia non provocava gelosie o volute interferenze. L'autonomia
dell'attività era assicurata e difesa. Probabilmente sussisteva una
integrazione formativa, oggi si direbbe una sinergia. Certo è che si coltivava
una gelosa ambizione di crescita autonoma da realizzare mediante rapporti
interpersonali all'interno dei quali si mettevano a disposizione reciproci
pensieri, azioni e un po' di sacrifici. Evidente che la consapevolezza
crescente del Servire riceveva il supporto indispensabile dalla formazione
spirituale che don Giuseppe, con tanta delicatezza e singolarità per ciascuno
di noi, nel rispetto assoluto della nostra libertà personale, ci impartiva
altrettanta determinazione e fermezza testimoniata dal suo esemplare vivere
quotidiano. Ho già scritto che non mi è possibile soffermarmi su questo
aspetto. data la natura dell'argomento che tocca il dato personale, e perché
solo don Giuseppe Io potrebbe descrivere nella sua globalità e secondo le
diverse sfaccettature. Ma è su questa base che si è vissuta la bella avventura,
che a certi lettori potrà sembrare di scarsi effetti per la produzione del
valore del servizio, ma che, per noi, lascia il segno del servire mossi dal
dovere di concorrere alla realizzazione di una maggiore giustizia, in libertà,
rapportandoci alla verità. Condizioni tutte necessarie per la pace. Debbo
riconoscere che le cerimonie periodiche di ricorrenze contengono anche esse dei
segni di valore, pur restando convinto che per farsi storia debbano trovar riscontri
ben più larghi dell'ambito circoscritto dell'esperienza di cui si fa memoria e,
se possibile, relazionarsi con il presente oltre che essere paradigma per
prospettive future. Tuttavia era corretto descrivere la figura dello scout. E
cioè di un ragazzo normale del tempo che dall'esperienza del campo e della vita
di reparto aveva colto qualche insegnamento duraturo. Il gusto dell'avventura
lo inducevano a valutare il rischio e a cimentarsi. Il contatto con la natura metteva
in risalto la sua bellezza, le misteriose grandiosità ed il terrore che a volte
essa incute. La scarsità dei mezzi, di ogni mezzo, il sacrificio da compiere,
le necessità, nel corso dell'esperienza gradevole, di mettere tutto in comune
con generosità, era un arricchimento gioviale, scaturigine dell'attenzione
verso il compagno di avventura, al quale e ai quali, in qualche misura, si
doveva un cambio di servizio. Penetrava il valore del servire da svolgere
all'interno della comunità con riguardo alle singole persone ed alle aggregazioni
articolate nelle quali molte di loro si organizzavano. Ho tentalo un modesto
contributo che mi ha entusiasmato e stimolato a continuare nel lavoro di
appunti dilatandoli ad altre esperienze. Chissà: conosco che gli entusiasmi si
scordano con facilità. Ringrazio della opportunità. mi scuso per i limiti e per
alcune note di tipo autobiografico, assicuro non ricercate. I migliori quanto
sentiti auguri alla vita della associazione, che possa produrre "classe
dirigente".
Andrea Barbiani