Lettere dal Passato
Quando si nasce fortunati!
A volte mi invidio. Appartengo a una di quelle rarissime
generazioni che nel corso della storia umana sono cresciute senza conoscere la
guerra, in una famiglia né ricca né povera (una famiglia che, se la mente mi fa
riconoscere come una delle tante normali famiglie del nostro paese, il cuore -
come accade a tutti - vuol pensare straordinaria), ho avuto - opportunità
negata alle generazioni precedenti – la possibilità di un'istruzione... Ma una
delle fortune più grandi di cui ho goduto - lo dico senza retorica - è quella
di aver "frequentato" dagli otto ai diciannove anni, una delle scuole
più rinomate e prestigiose del mondo, una di quelle scuole di fronte alle quali
le più antiche università britanniche, i prestigiosi college
dell'aristocrazia bostoniana impallidiscono, una scuola dove non ci sono né
dottori né professori, ma solo maestri, maestri di vita: lo scoutismo, nella
fattispecie l’"Istituto" Vobarno I°. Le cose più importanti della vita
le ho - oltre che in famiglia e dai "miei" preti - imparate li: dai
miei compagni, dai capi sestiglia, dai capi squadriglia, dai capi in genere, ma
soprattutto dall'Akela prima e dal capo Reparto poi: non una serie di teorie -
belle parole che finiscono a far da inutili soprammobili in qualche angolo
della mente - ma soprattutto esempi e comportamenti: da quelli più importanti e
generali, giù giù fino a quelli minuti e direi quasi banali, tanto che ancora
oggi, se mi trovo anche solo un pezzo di carta fra le mani, non riesco, come si
dice oggi, a disperderlo nell'ambiente, ma lo tengo in tasca e lo porto
nella pattumiera di casa. E quando capita (ahimé sempre più spesso!) che i
discorsi cadano sui bei tempi andati, mi sorprende ascoltare dalla bocca dei
vecchi amici le stesse, identiche, medesime riflessioni che ho appena esposto.
Ripensandoci a distanza di tanti anni ci si rende conto davvero della genialità
dell'intuizione di Baden Powell e dell'attualità ed efficacia di un metodo che,
lungi dal mostrare la corda, si dimostra sempre più vitale col passare degli
anni, forse perché la robustezza delle
sue idealità, la serietà del suo progetto contrastano - oggi ancor più che in
passato - con il vuoto e l'insipienza delle proposte (e in questo i ragazzi di
oggi sono certamente meno fortunati di quelli di ieri) che il mondo offre ai
giovani in questo scorcio finale di millennio. E di tanta fortuna non posso che
ringraziare tutti quanti hanno camminato con me, in particolare i miei capi e,
fra essi - Serve ricordarlo? - il Capo, quello vero, quello che, ormai duemila
anni fa, fondò in Galilea quel primo reparto di dodici "esploratori",
prima di consumarsi nell'esperienza del Servizio più totale.
Fabrizio